Gli esiti delle ultime elezioni regionali hanno mostrato che il Partito Democratico, nonostante un calo di voti rispetto alle ultime tornate elettorali, è passato nel giro di un anno da 6 regioni governate a 10, e questo è senz’altro un dato positivo che non può essere trascurato e su cui vanno fatte le opportune riflessioni in termini di responsabilità di governo e di capacità di cambiamento. I dati evidenziano, però, anche la crescita dell’astensionismo e del voto di protesta, due fenomeni tra loro evidentemente connessi ed accentuati dal clima di disagio economico e sociale degli ultimi anni. L’astensionismo, la cui crescita si verifica da tempo in tutte le società occidentali ed è perciò ritenuta, da molti osservatori, prevedibile o addirittura fisiologica, rimane invece, a mio parere, il preoccupante affermarsi di una generale mancanza di fiducia nella politica e nelle sue capacità di rappresentanza, di azione, di costruzione della partecipazione. Non c’è dubbio che il Pd abbia tenuto maggiormente dove la fuga dalle urne è stata meno ampia, e questo è un elemento in più per considerare l’astensionismo un problema, in generale, per tutta la politica, ma in particolare per il centrosinistra; dove ci si presenta divisi, e incapaci di rinnovare le proprie classi dirigenti, non si riescono a rappresentare pienamente le tante donne e i tanti uomini che, a fronte di una personale disaffezione nei confronti della politica, preferiscono non recarsi alle urne anziché favorire l’ennesimo voto di protesta in più. A ben vedere, confrontando i risultati delle sette regioni in cui si è votato con le ultime elezioni politiche del 2013 ed europee del 2014, il Partito Democratico ha avuto una riduzione di voti soprattutto in Veneto e Liguria, più contenuta in Toscana, Umbria, Marche, Puglia. Per quanto sia improprio voler proiettare su scala nazionale la tendenza del voto dello scorso 31 maggio, è certamente utile osservare in che modo il Partito Democratico possa confermarsi come vero agente di quel cambiamento di cui il Paese necessita da tempo. La vittoria del Presidente uscente Rossi in Toscana, ad esempio, rappresenta una conferma di fiducia, da parte dei cittadini, in un modello di governo locale che si è dimostrato in grado di far fronte, sul proprio territorio, alla crisi economica e alle sfide che essa ha imposto in termini anche di giustizia sociale, equità, integrazione. Il Partito Democratico riesce a vincere laddove sa costruire, grazie ad amministratori validi, competenti, coerenti, modelli di gestione del territorio innovativi e partecipativi, favorendo ad esempio quegli accordi tra rappresentanti del mondo del lavoro e del mondo dell’impresa che si rivelano poi fondamentali nel contrasto al malaffare, alle contraffazioni delle filiere produttive, nel sostegno alla crescita dell’export e della qualità delle nostre produzioni. Esempi di come il buon governo di una regione, o di un comune, non possono prescindere da uno sguardo rivolto alla dimensione nazionale del proprio agire e alle sfide economiche che le nostre imprese devono saper affrontare anche a livello europeo e internazionale. Credo sia importante un riferimento a lavoratori e imprese, e ai loro rispettivi rappresentanti, perché se è vero che è in corso, da tempo, una crisi di rappresentanza, che ha investito negli ultimi anni partiti, sindacati, e tutte le tradizionali forme di mediazione sociale, è anche vero che a questa crisi è impossibile rispondere con gli slogan e la retorica. È doveroso che il Partito Democratico riesca a condividere con tutti, a cominciare dai blocchi sociali tipici della storia della sinistra italiana, le sfide poste dal nostro tempo sul piano dell’innovazione, e non delle rendite di posizione. Non è un caso, se proprio in Toscana si è registrato il più alto numero di donne elette in Consiglio regionale, con 11 consigliere su un totale di 40; una percentuale pari al 27,5% che ha confermato il ruolo positivo del Partito Democratico toscano nel sapersi presentare come corpo di intermediazione tra il Paese reale e le istituzioni. Infatti, se è vero che è stata confermata l’utilità della doppia preferenza di genere nella promozione della presenza delle donne nei luoghi decisionali, è anche vero che il dato politico da leggere è soprattutto di natura culturale; le norme antidiscriminatorie e la doppia preferenza di genere sono evidentemente strumenti indispensabili, ma non sufficienti, affinché si possa realizzare una piena cittadinanza per tutti. Ho avuto modo di esprimere la mia analisi su questo tema già la scorsa settimana, sottolineando che una democrazia che non sia paritaria è una democrazia incompleta, un sistema incapace di colmare quell’accentuata distanza che si è creata, nel tempo, tra cittadini e partiti. Perché anche da qui riparte la costruzione di fiducia nelle istituzioni: dalle donne, dalla nostra capacità, comprovata, di mettere in campo comportamenti più rigorosi dal punto di vista etico e più coraggiosi dal punto di vista dell’innovazione. Queste elezioni, dunque, rinnovano il mandato riformatore del Partito Democratico, che dovrà dedicare tutte le proprie risorse a rafforzare il proprio radicamento nei singoli territori con rinnovati strumenti di partecipazione e con amministrazioni capaci, credibili, trasparenti. Credo che il Partito Democratico possa e debba ripartire da sé stesso, dal lavoro fatto in questa legislatura con iniziative concrete e con le tante buone leggi prodotte che segnano l’avvio di un processo riformatore indispensabile; sarebbe un’occasione persa, per la sinistra italiana, il prevalere dei timori che di volta in volta questa o altra fazione dichiarano verso il cambiamento. Dalla riforma del mercato del lavoro alla riforma costituzionale, dalla legge elettorale alla riforma della pubblica amministrazione, dalle politiche economiche che rompono con l’austerity in nome della crescita e degli investimenti, tutti possono constatare che il Partito Democratico si è reso protagonista di una nuova stagione politica, con un cambiamento nelle scelte che evidenzia una cultura politica seria, responsabile, pragmatica. Una nuova stagione che, come ho avuto modo già di affermare, non a caso riguarda anche gli interventi per l’estensione dei diritti, dopo anni di tentativi inconcludenti: dalla legge sul terzo settore al divorzio breve, passando alla discussione parlamentare sulla cittadinanza e sulle unioni civili. Un cambiamento che non ha certo fatto sconti sul versante del contrasto alla corruzione e al malaffare, sia con i tanti interventi legislativi finora approvati che con una grande operazione di trasparenza interna avviata, ad esempio, su Roma, fin dai primissimi sospetti sulle vicende di “mafia capitale”. Il Partito Democratico sarà più credibile quanto più sarà in grado di portare avanti il cambiamento in corso, superando quelle conflittualità che allontanano, nel lungo periodo, i cittadini dalla politica, e mettendo il Paese reale al centro della propria agenda; perché questo si possa realizzare, bisogna ripartire dalle donne, dal mondo del lavoro, dal radicamento nel territorio. Se la Lega ha investito molte energie proprio in Toscana è per il suo obiettivo di volersi affermare come unica alternativa al Pd a livello nazionale. La contesa di questa alternativa con il M5S si è giocata su un voto che passa per il puro e semplice populismo, un voto su cui è assai pericoloso porre speranze di rinnovamento del centrodestra. Infatti, speculando consensi in nome del populismo e della demagogia, la Lega ha scelto di raccogliere consensi con un’operazione di estetica politica che con le felpe di una nuova leadership è riuscita a far dimenticare il proprio ruolo nella compromissione della stabilità economica e sociale dell’Italia, nonché della sua reputazione nelle relazioni internazionali. Mentre molti osservatori hanno evidenziato “la novità” di una Lega che non cresce solo al nord, a me pare che le ricette proposte abbiano veramente poco di innovativo e presentino una Lega dalla doppia faccia: una nazionalista, xenofoba, antieuropeista, sul modello lepenista francese, e l’altra, dimostratasi vincente in Veneto, ferma agli slogan dell’autonomia del nord contro “Roma ladrona”. A noi il compito di dimostrare che entrambe le prospettive, inquietanti e inconcludenti, coerenti solo con gli errori di chi ha governato il Paese negli ultimi vent’anni, non hanno futuro. |