A.S. 2081
Ordine del giorno
Il Senato,
in sede di esame del disegno di legge n. 2081, recante regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze;
premesso che:
l’articolo 6, comma 1, della legge 4 maggio 1983, n. 184 dispone che “L’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni”;
consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo, della Corte di Cassazione, nonché numerosissima giurisprudenza di merito si è espressa nettamente riguardo l’ impossibilità di considerare l’omosessualità quale impedimento all’esercizio delle funzioni genitoriale, in tal senso si legga la sentenza Corte di Cassazione, sezione prima, 11 gennaio 2013, n. 601, per cui, alla base della convinzione che l’inserimento di un minore in una famiglia composta da due donne legate da una relazione omosessuale possa avere ripercussioni negative, «non sono poste certezze scientifiche o dati di esperienza, bensì il mero pregiudizio che sia dannoso per l’equilibrato sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale»;
il disegno di legge in oggetto, in materia di adozione prevede la sola facoltà, già prevista per il coniuge, di adottare il figlio del partner ai sensi della lettera b), comma 1, articolo 44 della legge 4 maggio 1983, n. 184, c.d. adozione in casi particolari. Tale facoltà, meglio nota con il nome di stepchild adoption, è consentita, oltre che in Paesi dove è possibile per le coppie composte da persone dello stesso sesso ricorrere all’adozione congiunta, come Spagna, Svezia, Norvegia, Danimarca, Belgio, Francia e da ultime Austria, Irlanda e Groenlandia, anche in Paesi come Germania e Finlandia che, pur precludendo l’accesso per le coppie omosessuali all’istituto dell’adozione congiunta, consentono, comunque, nell’ottica della tutela prevalente del diritto del minore a godere di una stabilità affettiva, di ricorrere all’adozione del figlio da parte del partner;
in assenza di una puntuale disciplina italiana, si è venuta a creare una situazione di vulnus dello stato giuridico dei minori figli delle coppie formate da persone dello stesso sesso, infatti, i medesimi sono privi di numerosi diritti e prerogative derivanti dal possesso di status di figlio, quali ad esempio il diritto di essere mantenuti, assistiti, educati e istruiti, come anche quello di ereditare. Di contro anche al genitore non biologico sono negati diritti-doveri, come il poter ottenere permessi parentali e assegni familiari, mantenere continuità affettiva con il minore in caso di separazione dal genitore biologico, nonché di morte del medesimo;
in assenza di un riconoscimento per le coppie dello stesso sesso della facoltà di accedere all’istituto dell’adozione, negli ultimi anni diversi tribunali di merito si sono pronunciati riconoscendo la trascrizione dell’atto di nascita del minore nato all’estero, nonché l’adozione da parte del partner ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera b) e d), della predetta legge 184 del 1983 al fine di garantire il superiore interesse del minore alla stabilità e alla continuità affettiva.
Considerato che:
l’articolo 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40 punisce il ricorso alla surrogazione di maternità con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il divieto generalizzato, come configurato dalla predetta legge, ricorre oltre che in Italia, anche in diversi paesi europei quali: Bulgaria, Francia, Germania, Malta, Portogallo e Spagna, ma di questi solo Bulgaria e Italia vietano l’accesso all’istituto dell’adozione per le coppie formate da persone dello stesso sesso;
il ricorso alla tecnica della gestazione per altri è diversamente disciplinato e accanto a Paesi che prevedono una legislazione più stringente quali ad esempio la Gran Bretagna, il Belgio, il Canada o i Paesi Bassi, dove nel normare il ricorso a questa tecnica il legislatore ha assunto parametri che garantiscano l’assenza di sfruttamento del bisogno delle donne, vi sono di contro legislazioni, in particolare nei paesi in via di sviluppo, dove lo sfruttamento di donne in situazione di vulnerabilità ha assunto contorni tali da essere considerato una lesione dei diritti umani;
la tecnica della maternità surrogata, cui ricorrono per la maggior parte coppie eterosessuali e in percentuali ridotte coppie omosessuali, solleva interrogativi profondi nelle coscienze e negli animi di persone di diversa appartenenza politica, culturale e religiosa ed è da più parti trasversalmente condannata. Nella maggior parte dei casi, infatti, si tratta di un uso del corpo della donna e della sue funzioni riproduttive come una “merce” in palese contrasto con il principio universale della dignità umana. A quanto detto, si aggiunga la preoccupazione sollevata da più parti, nel mondo scientifico e culturale, in merito alla negazione della relazione che nasce tra la donna e il feto dentro di lei nel momento della sua trasformazione in bambino durante la gravidanza, nonché la scomposizione del processo, gravidanza, maternità e nato considerate una violazione dell’integrità del bambino oltre che della donna stessa.
Rilevato inoltre che:
l’articolo 117, comma 1, della Costituzione dispone che: “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”, ove per ordinamento comunitario si intendono anche le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea e tra gli obblighi internazionale rientrano la Convenzione europea e le conseguenti sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo;
al riguardo si rileva che la Corte Costituzionale con le sentenza n. 348 ha chiarito che: “La CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver previsto la competenza di un organo giurisdizionale, la Corte europea per i diritti dell’uomo, cui è affidata la funzione di interpretare le norme della Convenzione stessa. (…) Poiché le norme giuridiche vivono nell’interpretazione che ne danno gli operatori del diritto, i giudici in primo luogo, la naturale conseguenza che deriva dall’art. 32, paragrafo 1, della Convenzione è che tra gli obblighi internazionali assunti dall’Italia con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU vi è quello di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato, nel significato attribuito dalla Corte specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione. Non si può parlare quindi di una competenza giurisdizionale che si sovrappone a quella degli organi giudiziari dello Stato italiano, ma di una funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia. ”
ebbene, nel 2014 la Corte europea dei diritti umani, nei due casi Mennesson e Labassee contro Francia, è intervenuta sulla questione dei figli nati da maternità per altri. Alle due coppie genitoriali, entrambe eterosessuali, la Francia aveva negato in un caso la trascrizione del certificato di nascita dei figli e nell’altro la trascrizione di un provvedimento del giudice francese che riconosceva l’esistenza di una relazione di fatto tra genitori e figlio. La Corte edu pur riconoscendo che il rifiuto di trascrivere l’atto di nascita, costituisce una misura legittima da parte dello Stato che, nell’esercizio della sua discrezionalità, punisce penalmente il ricorso alla maternità per altri, ha tuttavia concluso affermando che quando sono in gioco gli interessi dei minori, il margine di discrezionalità dello Stato si riduce e una previsione, pur legittima, non può essere bilanciata con l’incertezza giuridica in cui i figli vengono a trovarsi;
le medesime conclusioni sono state confermate dalla Corte edu nella sentenza Paradiso and Campanelli contro Italia del 27 gennaio 2015, nella quale la Corte ha condannato l’Italia per aver sottratto e poi dato in adozione il figlio di nove mesi di una coppia eterosessuale, che aveva fatto ricorso in Russia alla fecondazione eterologa e alla maternità per altri. Secondo la Corte, i giudici italiani hanno violato l’articolo 8 della Convenzione nel considerare non sufficienti 9 mesi di vita per l’instaurazione di rapporti significativi tra il minore e i propri genitori e nell’aver privilegiato la tutela dell’ordine pubblico italiano rispetto al preminente interesse del minore alla stabilità affettiva, indipendentemente dall’esistenza di una genitorialità biologica.
Impegna il Governo:
a valutare l’opportunità di modificare, entro il 2016, l’intera disciplina relativa al diritto del minore alla famiglia di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184, consentendo alle coppie composte da persone dello stesso sesso l’accesso, oltre che all’adozione in casi particolari di cui all’articolo 44, comma 1, lettera b), anche all’istituto dell’adozione piena e legittimante di cui all’articolo 6, nella consapevolezza che il ricorso a tale istituto si configura quale unico reale strumento di contrasto all’utilizzo della pratica della maternità surrogata;
ad adoperarsi, altresì, nel novellare la predetta legge 4 maggio 1983, n. 184 al fine di rendere accessibile l’adozione piena e legittimante di cui all’articolo 6, in aggiunta alle coppie dello stesso sesso, anche alle coppie stabilmente conviventi, nonché ai singoli, provvedendo contestualmente ad una semplificazione e ad uno snellimento della complesse procedure ivi previste.

FEDELI, CANTINI, MIRABELLI, MATURANI, PUGLISI, PAGLIARI, MATTESINI, DE BIASI