Sulla strada di Iqbal

Novembre 12, 2021
Generale

La mia prefazione al libro di Catia Proietti

Alcune volte la narrativa riesce ad essere magica. Accade quando una storia non si limita ad appassionare, ma intreccia temi e linguaggi e nutre così la mente e l’anima di chi legge, generando conoscenza, emozioni, consapevolezza.

È quello che accade con Sulla strada di Iqbal, grazie alla capacità di Catia Proietti di affrontare questioni centrali nelle società contemporanee, fondative eppure ancora sfidanti per tutte e tutti noi: diritti, rispetto, lavoro, giustizia, uguaglianza.

Una capacità ancor più preziosa visto che è dedicata a raccontare ad un publico di ragazze e ragazzi.

Leggendo la storia di Maya, la giovane protagonista, e di Irene, sua madre, ci si imbatte in quelle piccole e grandi difficoltà che una quotidianità precaria e una globalizzazione non equilibrata hanno reso così familiari a tante e tanti, in Italia come nel resto del mondo.

E così capita che nella vita di una ragazzina, già alle prese con la scoperta delle differenze e delle fragilità che rendono faticosa l’adolescenza, tra rapporto con la famiglia – qui una madre single, ma vale per ogni tipo di famiglia -, amicizie, scuola, modelli sociali ed estetici, irrompano il vortice della povertà, il lavoro minorile, il rischio di perdere la strada giusta per continuare a crescere in modo sano.

Ed è proprio su quella strada, la strada di cui parla il titolo del libro, che Maya incontra la storia di Iqbal Masih, una storia che le è d’aiuto ad andare avanti.

Iqbal Masih, il bambino sindacalista che ha lottato contro il lavoro minorile in Pakistan, capace di parlare a tutto il mondo, facendo crescere la consapevolezza sulle profonde ingiustizie che ci circondano, divenuto simbolo globale e assassinato per questo a soli 12 anni.

Ho passato una vita nel sindacato, a battermi per i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori. Ho avuto l’onore di guidare il sindacato dei tessili, in Italia e in Europa, per un decennio, pochi anni dopo la scomparsa di Iqbal. Ho conosciuto da vicino molti dei mali che in molte zone del mondo hanno inquinato e inquinano le produzioni tessili, come di molte altre filiere. In quegli anni ho condiviso per l’Italia e l’Europa la sfida di un modello di produzione etico, competitivo perché fondato sulla qualità e sul rispetto dei diritti di lavoratrici, lavoratori e ambiente. È il modello del made in Italy, un modello che unisce la qualità dei prodotti e la qualità della vita che caratterizza il nostro territorio. Un modello che esiste, grazie a tante eccellenze, e che è ancora un obiettivo, per poter diventare vero punto di forza per tutto il Paese.

Mi rivolgo allora direttamente a voi lettrice lettori più giovani: fate come Maya e i suoi amici, guardate le etichette, approfondite, studiate e condividete, mettete sempre alla prova il vostro spirito critico, senza omologarvi, senza farvi dire cosa pensare e cosa no, senza farvi condizionare in cosa ritenete possibile e cosa no. Senza cedere mai all’illegalità, alla discriminazione, all’odio.

Quando Maya incontra una piccola produzione tessile illegale ci ricorda che il male è vicino a noi, che la sfida è da vincere ancora ogni giorno, che i diritti, la giustizia e l’uguaglianza sono valori mai da considerare astratti, ma sostanza della democrazia e della Repubblica.

Il sottoscala di sfruttamento descritto nel romanzo ci riporta a tanti casi reali, e il riferimento che Catia Proietti ricorda nelle note finali all’incendio della fabbrica di jeans di Casavatore nel 1976, in cui morirono tre ragazzine che lavoravano illegalmente, ci porta davanti agli occhi il fuoco che troppe volte ha divampato portando via la vita di giovani lavoratrici, fin dall’incendio della fabbrica tessile di Chicago del 1908, quando 129 operaie morirono arse vive, chiuse nella fabbrica dal datore di lavoro per ritorsione dopo uno sciopero. Uno dei tanti tragici episodi che hanno dato corpo e forza alle battaglie per i diritti delle donne.

Le donne che sono le protagoniste di tutto il romanzo, Maya, la madre, le amiche, la professoressa. Donne che vivono di legami a molla, in cui il vicino e il distante si intrecciano in una costante tensione che rende fragile ogni possibile senso di sicurezza e che rappresenta molto bene il senso di precarietà che caratterizza il vissuto di ormai intere generazioni.

Legami che richiedono impegno e fatica, e che si trovano rafforzati in modo esponenziale quando si scoprono parte di una sfida più grande. Una sfida fatta di ideali in cui credere, di possibilità da realizzare, nonostante tutte le insidie e gli ostacoli che pone la realtà: per cambiare il mondo, e per aiutarsi ad affrontarlo ciascuna e ciascuno con un po’ più di sicurezza.

E quando scuola, famiglia e amicizie si trovano unite, quando una comunità si ritrova tale e si scopre vicina alle sfide di tanti altri nel mondo, come quelle rappresentate da Iqbal, allora accade la magia e tutto appare possibile – nella finzione narrativa del romanzo così come nel racconto della vita.

Nel periodo in cui sono stata Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca ho potuto capire ancor più di quanto non fossi già convinta quanto la comunità sia decisiva per far crescere conoscenze e competenze, capacità e consapevolezze.

La comunità intorno alla scuola, fatta di famiglie, istituzioni, territori, associazionismo, e la comunità scolastica, che deve sempre saper orientare se stessa sapendo anche educare al rispetto. Il Piano nazionale per l’educazione al rispetto – lanciato dal Ministero a fine 2017, e composto da tante diverse sfide, dalla parità di genere al contrasto a ogni forma di discriminazione e bullismo – è una delle cose di cui sono più orgogliosa del lavoro da Ministra.

Perché il rispetto, la capacità di riconoscere il valore delle differenze, è il fondamento di ogni seria sfida per l’uguaglianza, per la parità di genere, per vere pari opportunità. Per realizzare una società più giusta, più libera, più consapevole. E non è un caso che “consapevolezza” sia il modo in cui Maya e Irene definiscono il proprio modo diverso di sentirsi, vestirsi, comportarsi.

Una rivoluzione del rispetto – degli altri e di ogni loro differenza, dell’ambiente, della legalità – è il più profondo cambiamento che possiamo adottare, unendo le energie di istituzioni, famiglie, scuola, territori, politica.

Forse è perché è la dimensione che più ha caratterizzato la mia vita ed è il nome che do alle diverse forme di impegno mirate a cambiare l’esistente, ma credo che a suo modo questo sia un romanzo fortemente politico, in un senso nobile, alto e concreto – nessuno si spaventi, la politica come argomento di attualità non c’entra nulla, si tratta solo di occuparsi di temi che riguardano la vita di tutte e tutti.

Voglio allora concludere, augurando buona lettura a tutte e tutti, ricordando un articolo della Costituzione che mi sta molto a cuore, il 3, che esprime in modo magistralmente equilibrato ed efficace il senso dell’uguaglianza sostanziale e della quotidiana battaglia per realizzarla. Lo lascio in conclusione come contributo perché ogni ragazza e ogni ragazzo, ogni genitore e ogni insegnante, ogni cittadina e ogni cittadino si sentano accompagnati da tutta la forza della nostra comunità nella difficile sfida di contrastare quel “mal di mondo” che unisce Irene, Maya, gli altri personaggi del romanzo e tutte e tutti coloro che non si rassegnano a che il mondo possa essere migliore.

“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”